- Aida Blanchett
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Conoscenza della terminologia algologica • VULVODINIA.INFO
Lun 13 Dic 2010, 07:20
Conoscenza della terminologia algologica
Per la terminologia algologica, si fa riferimento alle pubblicazioni dell’International Association for the Study of Pain [IASP 1980, 1986, 1994].
Dolore
Il dolore è la “spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata ad un danno tessutale reale o potenziale e descritta in termini di tale danno”. Dalla definizione emergono due concetti:
· il dolore non è una semplice “percezione” ma una complessa “esperienza sensoriale”, vale a dire una “emozione”;
· l’esperienza dolore è associata indissolubilmente al concetto di “danno tessutale” che può essere “attuale” (nel dolore associato alla nocicezione) o “potenziale”. Quest’ultimo concerne sia il danno “possibile” ma non ancora “in atto”, del quale la nocicezione è l’avvertimento in grado di farlo evitare, sia quello ipotetico che, in realtà, non c’è e non ci sarà, per lo meno dov’è avvertito il dolore. La seconda evenienza si riferisce al dolore non associato alla nocicezione (dolore non nocicettivo) dove il “danno” non è nel tessuto dov’è avvertito il dolore ma nel dispositivo di segnalazione e di elaborazione della nocicezione in emozione dolorosa: siamo in questo caso nell’ambito di alcuni dolori neuropatici, del dolore psicogeno e, più in generale, del dolore cronico. Da quanto precede, si evince che i termini “nocicezione” e “dolore” non sono sinonimi e che il termine “dolore” non indica una situazione clinica unitaria.
Allodinìa
L’allodinia è “il dolore dovuto ad uno stimolo che normalmente non provoca dolore” [IASP 1994]. Essa è, in altre parole, la falsa identificazione dello stimolo, nel senso che lo stimolo (non algogeno) e la risposta (dolore) hanno qualità differente. Questo aspetto è peculiare di qualsiasi espressione allodinica: da quella nel dolore cutaneo da lesione tessutale dove il tatto evoca dolore a quella nel dolore centrale dove questa peculiarità è talmente esasperata che, in presenza di un apparato dolorifico avariato, non solo il tatto ma anche l’udito e la vista evocano dolore.
La definizione proposta inizialmente dalla IASP [1980] prevedeva che, per provocare l’allodinia, lo stimolo che normalmente non provoca dolore fosse applicato “sulla cute normale": se la cute non era normale (vale a dire se era sede, per esempio, di un processo flogistico), l’eventuale “distorsione della sensibilità” non poteva essere definita allodinia. Il concetto di allodinia come cambiamento delle caratteristiche qualitative della sensazione è diventato più chiaro dopo che la IASP ha eliminato la precisazione “sulla cute normale”. Includendo quella precisazione, infatti, il dolore provocato toccando la cute ustionata non può essere considerato allodinia perché la cute non è normale: in questo caso, però, non è adeguata neppure la definizione “iperalgesia” perché il tatto non è uno stimolo normalmente doloroso. Su queste premesse, quindi, il dolore provocato toccando la cute ustionata, paradossalmente, non può essere definito. Si consideri, però, che in un primo tempo il termine allodinia fu introdotto per distinguere l'iperestesia cutanea nel dolore tessutale (iperalgesia) da quella nel dolore neuropatico (allodinia): quindi, l’allodinia, era considerata patognomonica del dolore neuropatico. Alla luce delle recenti precisazioni semantiche, non ci si deve più lasciare suggestionare dall'idea che l'iperalgesia riguardi il dolore tessutale e l'allodinia quello neuropatico. Quel che caratterizza l'allodinia è che il dolore è prodotto da uno stimolo che normalmente non lo evoca, per cui essa è una definizione clinica senza implicazioni patogenetiche. L'allodinia può essere riscontrata sia nel dolore tessutale che in quello neuropatico e non è patognomonica di quest'ultimo. Infatti, è esperienza comune che lo sfioramento della cute affetta da un banale eritema solare sia doloroso: in questo caso si ha un dolore provocato da uno stimolo (tattile) che normalmente non evoca dolore e la condizione può definirsi allodinia. Per la stessa ragione è allodinia il dolore provocato dalla medicazione di una ferita cutanea: il disinfettante applicato alla cute normalmente non evoca bruciore mentre lo stesso preparato applicato su una ferita lo evoca. Sulla stessa linea di pensiero sono espressioni allodiniche anche alcune dispercezioni sensoriali come la fotofobia e la fotofobia.
Tabella - Tipi di allodinia
Dinamica
Meccanica
Statica
Superficiale
Al caldo
Termica
Allodinìa
Al freddo
Profonda
Meccanica
Dinamico-statica
Topograficamente, l’allodinia (Tabella) può essere “superficiale” (evocata ed avvertita sulla cute e le mucose) o “profonda” (evocata ed avvertita nei tessuti profondi somatici e viscerali). Esempi di allodinia superficiale sono nel dolore tessutale le aree di cute ustionata e nel dolore neuropatico le trigger areas della nevralgia del trigemino, le aree cutaneo-mucose ipersensibili della nevralgia post-herpetica e le aree ipersensibili corrispondenti ai neuromi da amputazione. Esempi di allodinia profonda sono un focolaio di frattura ossea, un trigger point miofasciale ed un viscere infiammato. Quando la palpazione di un viscere evoca dolore, si è in presenza di un’allodinia profonda e, parimenti, si è in presenza di allodinia profonda quando il cibo riacutizza il dolore proveniente dallo stomaco! A sua volta, l’allodinia superficiale può essere qualitativamente distinta in allodinia “meccanica” (prodotta da stimoli meccanici non nocicettivi applicati su un tessuto, specie la cute) e “termica” (provocata da stimoli termici, caldi e freddi, non nocicettivi applicati sulla cute). In subordine, l’allodinia meccanica può essere “dinamica” (Abeta-mediata) quando lo stimolo consiste nello sfregamento della pelle, attuato con il bordo di una compressa di garza o “statica” (C-mediata) quando lo stimolo consiste nella digitopressione o nella pressione sulla cute di un oggetto puntiforme non acuminato quali i fili di Von Frey (non lo spillo). Infine, l’allodinia profonda è qualitativamente “meccanica dinamico-statica”: questa definizione deriva dalla difficoltà di stabilire se le stimolazioni dei tessuti profondi sono dinamiche o statiche.
Analgesia
L’analgesia (o anestesia dolorifica) è l’assenza di percezione in risposta agli stimoli algogeni. Benchè, come nel caso del pain relief e degli altri riscontri elencati in questa appendice, anche la valutazione dell’analgesia dipenda dalla dichiarazione del soggetto, essa è, in una certa misura, un “riscontro obiettivo” in quanto a un dato stimolo nocicettivo ci si attende una data risposta. In ogni caso, la definizione analgesia non dovrebbe essere usata come sinonimo di pain relief.
Anestesia
Per anestesia che letteralmente significa mancanza di sensibilità s’intende l’assenza di percezione in risposta ad ogni tipo di stimolo. La dizione anestesia dolorifica è sinonimo di analgesia mentre le definizioni anestesia termica ed anestesia tattile si riferiscono all’assenza di percezione in risposta, rispettivamente, agli stimoli termici e tattili. La definizione può essere riferita ad una certa parte del corpo (come, per esempio, nella denervazione degli arti inferiori per lesione della cauda equina) o al soggetto nel suo insieme (come nella cosiddetta anestesia generale).
Anestesia dolorosa
Si definisce anestesia dolorosa la condizione nella quale il soggetto ha dolore in una zona anestesica.
Fenomeno dello Wind-up
In condizioni normali gli afferenti nocicettivi primari (fibre C) liberano la sostanza P: questa, a sua volta, attiva i recettori neurokininici ma non gli NMDA-recettori che non rispondono perché i loro canali ionici sono occupati da uno ione Mg++ in grado di bloccare il passaggio degli altri ioni. Gli stimoli nocicettivi ripetuti, tuttavia, attivando in modo sincrono molte fibre C, producono nella membrana cellulare dei neuroni spinali una sommazione dei potenziali sinaptici che aumenta la depolarizzazione post-sinaptica della membrana stessa. Poiché il blocco degli NMDA-recettori da parte degli ioni Mg++ è voltaggio-dipendente, la depolarizzazione post-sinaptica della membrana cellulare riducendone il voltaggio induce l'estrusione degli ioni Mg++ dagli NMDA-recettori. In conseguenza, gli ioni Na+ e Ca++ possono ora fluire nella cellula anche attraverso i canali ionici degli NMDA-recettori producendo un'ulteriore depolarizzazione della membrana che a sua volta rimuove gli ioni Mg++ dai canali ionici di altri NMDA-recettori limitrofi. Questa condizione di ipereccitabilità centrale indotta dalla sincrona eccitazione delle fibre C è nota come “fenomeno dello wind up” [Mendell 1966, Price et al.1971], definizione che si traduce in italiano con “caricare avvolgendo” (per esempio, la molla di un orologio…).
Dolore radicolare
Il dolore radicolare è il dolore patologico che origina dalla radice di un nervo cranico o spinale. Esso è avvertito come dolore di proiezione con distribuzione metamerica quando è neuropatico, come dolore riferito (al territorio di distribuzione della fibra nervosa dalla quale originano quei rami collaterali che definiamo nervi nervorum) quando è nerve trunk pain, come dolore con distribuzione pseudometamerica quando è nerve trunk pain sostenuto da un processo flogistico esteso a tutto il nervo fino alle sue diramazioni terminali, come dolore primario quando è nerve trunk pain sostenuto da un processo flogistico circoscritto ad un limitato tratto del nervo.
Dolore nocicettivo
E’ dolore nocicettivo quello provocato dall’eccitazione dei nocicettori presenti in quasi tutti i tessuti.
Dolore non nocicettivo e dolore disnocettivo
È dolore non nocicettivo quello che non è prodotto dall’eccitazione dei nocicettori. Spesso questa definizione è usata per indicare il dolore neuropatico ed il dolore psicogeno: mentre nel secondo caso è sicuramente appropriata, nel primo il suo uso è discutibile perché non utto il dolore neuropatico ha la caratteristica di essere non nocicettivo. Infatti, quando il dolore neuropatico è prodotto dall’eccitazione del neuroma da amputazione (o, per meglio dire, dei “neorecettori” presenti negli sprouts che costituiscono i neuromi) o nelle zone dismielinosiche delle fibre nervose, è poco corretto affermare che esso è dolore non nocicettivo. In questi casi, una nocicezione viene effettivamente condotta lungo la fibra, ancorché prodotta con un meccanismo e in una sede non fisiologici. Questi dolori, anziché non nocicettivi, sono più correttamente da definirsi “disnocicettivi”, vale a dire sostenuti da una nocicezione anomala per meccanismi di produzione e per sede di produzione (nocicezione ectopica).
Dolore recettoriale
La definizione dolore recettoriale dev’essere considerata sinonima di “dolore nociettivo”.
Dolore fisiologico
È dolore fisiologico il “normale” dolore nocicettivo o recettoriale. Si tratta, in altre parole, di un dolore che ogni soggetto normale avverte quando si realizzano determinate condizioni e che costituisce la parte principale di un dispositivo di protezione che informa il soggetto di un danno in atto o potenziale.
Dolore patologico
La dizione dolore patologico non va usata per indicare il dolore che compare nelle patologie di un organo, di un viscere o di un apparato: in quei casi, infatti, il dolore è assolutamente “normale”, nocicettivo, recettoriale e “fisiologico” ed ogni soggetto normale lo avverte quando si realizzano le condizioni favorevoli, costituendo, come si è detto, la principale componente del dispositivo di protezione che informa il soggetto di un danno in atto o potenziale. Al contrario, dev’essere considerato “patologico” il dolore che è presente quando non dovrebbe esservi, vale a dire quand’esso, avvertito in una data sede, segnala in quella sede un danno che non c’è…
Dolore in sede d'elezione
È il dolore viscerale riferito in particolari sedi superficiali, relativamente specifiche a seconda della sede di origine della nocicezione viscerale.
Dolore in sede epicritica
È il dolore viscerale avvertito approssimativamente nella sede del viscere o in altre occasioni il dolore prodotto dal cointeressamento delle strutture viscerali e somatiche limitrofe come nel caso del dolore pleurico.
Neuroma da amputazione
(Pagina da completare)
After discharge
(Pagina da completare)
Potenziale transmembrana di azione(PTA)
(Pagina da completare)
Extra-spike
(Pagina da completare)
Riverberazion dell'impulso propagato
(Pagina da completare)
Pain relief
Il termine pain relief indica l’assenza di dolore. Il pain relief è un riscontro essenzialmente “soggettivo”, da non confondere con la analgesia che è un riscontro obiettivabile.
Parestesia
È la sensazione affettivamente neutra provocata dalla stimolazione di un assone normale e consiste in un’anormale sensazione, a tipo formicolio, intorpidimento, eccetera, fastidiosa ma non dolorosa.
Disestesia
La disestesia consiste in “strane” ed “anormali” sensazioni, fastidiose o francamente dolorose. In realtà, molti pazienti non definiscono come dolorose le percezioni disestesiche ma semplicemente come “strane” e “fastidiose”: i pazienti che hanno la capacità di riferisrsi a paragoni astratti, le definiscono come “vetri sotto pelle”, “punture multiple”, “stiramenti”, gli altri le reriferiscono come “sensazioni sgradevoli non definibili a parole” e questi ultimi sono quelli che, per comunicare un concetto che non sono in grado di astrarre, assimilano le disestesie al dolore. In ogni caso, la maggior parte dei pazienti, riconoscendole come “anormali”, affermano che si tratta di sensazioni mai sperimentate in precedenza. Non si confondano la disestesia con l’allodinia e non si usino come sinonimi i due termini. In realtà, quando si sfiora la cute allodinica si produce un dolore con carattere disestesico ma l’allodinia è la distorsione sensitiva prodotta da uno stimolo normalmente non doloroso mentre la disestesia è un’esperienza soggettiva spontanea o provocata.
Ipoalgesia
È la diminuita risposta dolorosa agli stimoli algogeni. Si ha soglia una dolorifica aumentata ed una diminuita risposta.
Ipoestesia tattile
È la diminuita percezione degli stimoli.
Ipoestesia termica
(Pagina da completare)
Iperestesia tattile
E’ l’aumentata percezione degli stimoli ed include l’iperalgesia e l’iperpatia
Iperalgesia
E’ la “aumentata risposta ad uno stimolo che è normalmente doloroso”, con ridotta soglia di percezione del dolore. Lo stimolo (algogeno) e la risposta (dolore) sono della medesima qualità al contrario dell’allodinia dove lo stimolo (non algogeno) e la risposta (dolore) hanno qualità differenti.
Iperalgesia primaria
Si ha l’iperalgesia primaria quando il dolore è sentito nella sede dov’è applicato lo stimolo ed è dovuto alla liberazione di metaboliti algogeni e prostaglandine. L’anestesia locale della zona abolisce la risposta dolorosa.
Iperalgesia secondaria
L’iperalgesia secondaria è quella che si riscontra in zone non direttamente interessate dal danno tessutale, le cui fibre afferenti convergono sugli stessi WDR-neurons sui quali terminano le fibre afferenti della zona del danno tessutale che è la sede di iperalgesia primaria [Ballantyne et al.1988]. In genere la zona di iperalgesia secondaria circonda quella di iperalgesia primaria. L’anestesia locale della zona di iperalgesia secondaria non abolisce la risposta dolorosa che, invece, è abolita dall’anestesia della zona di iperalgesia primaria.
Tender area
La tender area è una zona dolente alla digitopressione. Essa, quindi, corrisponde ad un’area allodinica in quanto lo stimolo responsabile (la digitopressione) è uno stimolo che normalmente non evoca dolore (definzione di allodinia) e/o iperalgesica in quanto vi è in quella sede una ridotta soglia di percezione del dolore (definizione di iperalgesia). La tender area è dovuta alla liberazione locale di metaboliti algogeni. Tale area può essere localizzata in corrispondenza dei tessuti danneggiati (com’è il caso delle tender areas localizzate sulle inserzioni tendinee nelle entesiti) o dei neorecettori nei neuromi da amputazione. La tender area differisce dal trigger point in quanto meno facilmente si ha da essa irradiazione del dolore. Anche nel caso delle tender areas, però, può aversi una certa irradiazione del dolore ma meno vistosa di quella prodotta dallo stimolo dei trigger point. Ciò che differenzia le tender areas dai trigger points è quindi il fatto che le prime sono aree allodiniche dolenti quasi solo localmente mentre i trigger points sono aree allodiniche che oltre ad essere dolenti localmente (nella taut band) evocano una risposta irradiata ad una target area topograficamente prevedibile. In definitiva: 1) sia le tender areas che i trigger points sono aree allodiniche; 2) i trigger points sono anche tender areas mentre le tender areas non sono necessariamente trigger points; 3) una zona allodinica può comportarsi da target area o da trigger point: ad esempio, l’ipersensibilità del neuroma da amputazione può consistere in una tender area o in un trigger point.
Trigger points
I trigger points (TP) miofasciali vanno considerati un particolare tipo di allodinia profonda che si distingue per la distribuzine relativamente circoscritta e confinata in un’area limitata. Si noti che i TP non costituiscono una realtà anatomica ma funzionale, consistendo in una circoscritta zona miofasciale dove i nocicettori sono “iperirritabili” per l’azione locale di metaboliti algogeni (serotonina, istamina, bradichinina, prostaglandine) che si trova in una banda muscolare rigida (taut band) entro il muscolo o nella sua fascia.
A parte l’incostante rilievo teletermografico di un’area ipertermica di 5-10 millimetri attorno al TP, una banda muscolare rigida (taut band) è tutto ciò che può essere toccato con mano del fenomeno TP miofasciale. La taut band è il tratto di muscolo in contrattura dove risiede il TP. Per spiegare il riscontro della taut band si tenga presente che in condizioni normali il calcio viene liberato dal reticolo sarcoplasmatico all’arrivo del PTA, provvedendo all’accoppiamento fra il fenomeno elettrico e quello meccanico che porta alla contrazione. Avvenuta la contrazione, il calcio è subito riassorbito dal reticolo sarcoplasmatico, potendo fine all’accorciamento del muscolo. Se il reticolo sarcoplasmatico è danneggiato, invece, il calcio può essere liberato in assenza del PTA e persistere nella sede muscolare dov’è responsabile della contrattura. La taut band, quindi, non è uno spasmo muscolare (che anzichè un piccolo tratto del muscolo interesserebbe il muscolo nella sua totalità e comporterebbe un’attività elettrica locale che non fa parte del fenomeno TP) ma una contrattura. Nonostante questo, è possibile che, pur non facendone parte normalmente, lo spasmo muscolare si sovrapponga al quadro clinico prodotto dai TP e lo complichi anche dal punto di vista diagnostico.
I TP miofasciali possono essere “attivi”, “latenti” o “estinti”: quelli attivi provocano dolore, riduzione dell’ampiezza dei movimenti, rigidità muscolare (specie dopo un periodo di immobilità del muscolo, come la mattina al risveglio) ed iperattività vasomotoria (pallore durante la digitopressione sui TP) mentre quelli latenti, non provocano dolore ma soltanto debolezza muscolare e riduzione dell’ampiezza del movimento del muscolo che li ospita. Un TP latente può diventare attivo a seguito dell’affaticamento del muscolo, del suo protratto “accorciamento”, di un trauma diretto su di esso, del suo raffreddamento, nel corso di una malattia virale acuta o in presenza di disturbi del sonno. I TP attivi sono più frequenti nella mezza età e meno in età avanzata, cedendo il posto a quelli latenti con l’associata debolezza muscolare e la riduzione di ampiezza del movimento muscolare. I TP attivi sono più frequenti nei muscoli fisiologicamente impegnati nel controllo della postura come il trapezio, gli sternocleidomastoidei, l’elevatore della scapola ed il quadrato dei lombi.
Va sottolineato il fatto che la sede del TP è dolente alla palpazione (per la simultanea stimolazione della taut band) ma non spontaneamente: in altre parole, il dolore prodotto dai TP non è nella sede dov’essi si trovano ma in sedi diverse (target areas) ad essi limitrofe ma talvolta anche relativamente lontane, caratteristiche per ogni muscolo, configurandosi un dolore riferito somato-somatico che ha i caratteri del dolore profondo, aching. In altre parole, il TP si comporta come il “grilletto” di un fucile (“trigger”, infatti significa “grilletto”) che quando premuto “spara” il dolore nella corrispondente zona “bersagnio” (target area). In genere, l’estensione e l’entità del dolore prodotto dai TP è tanto maggiore quanto più attivo o “irritabile” è il TP: l’irratabilità del TP, a sua volta, può variare di ora in ora o di giorno in giorno.
La palpazione dei TP induce:
· il dolore locale (per stimolazione della taut band e non del TP);
· il jump sign (segno del salto) che è una vistosa reazione di evitamento del paziente alla digitopressione dell’area dove risiedono il TP e la taut band;
· il dolore riferito nella target area. A proposito di quest’ultimo, si tenga presente che il dolore riferito prodotto dalla digitopressione sui TP compare con una latenza di 10-15 secondi per cui non è sempre facilmente correlabile con la manovra palpatoria del TP: in altre parole, il paziente avverte un aggravarsi del suo dolore spontaneo durante quella parte della visita finalizzata ad evidenziare i TP ma non sempre è evidente una stretta correlazione temporale fra la digitopressione di un TP e l’accentuazioe del dolore nella corrispondente target area.
Il riferimento del dolore dai TP miofasciali non segue una distribuzione rigidamente metamerica, potendosi verificare sia nell’ambito dello stesso metamero del TP che in regioni somatiche metamericamente diverse (Figura).
Un altro riscontro pressochè costante quando il TP è abbastanza superficiale è quello della “local twitch response” che durante l’infiltrazione del TP l’esaminatore, appoggiando i polpastretti in corrispondenza della sede del TP, può apprezzare come un “guizzo del muscolo” (vale a dire una “rapida e fugace contrattura” che si accompagna a dolore locale). Questa risposta è patognomonica dell’ingresso dell’ago nella sede del TP ed è dovuta al fatto che, oltre quelli sensitivi, anche i terminali motori sono ipereccitabili in quella sede: la stimolazione dei terminali motori ipereccitabili sarebbe quindi sufficiente ad evocare la brusca risposta motoria di quel tratto di muscolo senza la produzione di un PTA.
I TP attivi possono diventare latenti, se il muscolo è mantenuto a riposo: dalla condizione di latenza i TP possono diventare attivi per l’esposizione del muscolo agli stimoli prima considerati e questo fatto giustifica il ripresentarsi di episodi dolorosi ogni volta che si ripropongono i fattori in grado di attivare i TP. Inoltre, la persistente attività dei TP può condurre da una fase di reversibilità della sintomatologia (nella quale i TP costituiscono un fenomeno disfunzionale neuromuscolare) ad una fase di irreversibilità che corrisponde ad una “fase distrofica neuromuscolare”.
Si è detto che i TP possono corrispondere ad un’area teletermograficamente ipertermica: questo riscontro è dovuto ad un ridotto drenaggio venoso in corrispondenza del TP associato ad un ipercatabolismo locale e sostenuto da una vasocostrizione locale verosimilmente mediata dal simpatico (per questo, il fenomeno TP può essere migliorato dal massaggio locale che consente di ripristinare un adeguato drenaggio venoso e dal blocco del simpatico distrettuale).
Sia topograficamente che funzionalmente e semeiologicamente, si devono distinguere i TP miofasciali (si localizzano profondamente nelle fasce muscolari e nei muscoli e corrispondono, come si è detto, ad aree di allodinia profonda) ed i TP cutaneo-mucosi (si localizzano sulla cute e le mucose e corrispondono ad aree di allodinia superficiale). Il riscontro dei TP miofasciali orienta verso la diagnosi patogenetica di Dolore Tessutale profondo somatico: muscoloscheletrico e verosimilmente verso la diagnosi nosologica di una Sindrome miofasciale: esso coincide con il rilievo di una zona allodinico-iperalgesica circoscritta in una piccola zona miofasciale e prevede il riscontro di una target area sulla quale il dolore si irradia. Le sedi dei Trigger points miofasciali e delle target areas sono relativamente costanti nei singoli muscoli. Per contro, il riscontro dei Trigger point cutaneo-mucosi orienta verso la diagnosi patogenetica di Dolore neuropatico: un esempio sono le zone allodiniche caratteristiche della nevralgia del trigemino.
Allochiria
È la falsa localizzazione dello stimolo che applicato su una zona del corpo è avvertito sia su quella zona che altrove.
Iperpatia
E’ l’aumentata risposta dolorosa ad uno stimolo che normalmente provoca dolore. Il dolore è sentito con un certo ritardo, tende a diffondere oltre la sede di applicazione dello stimolo, a durare nel tempo e ad essere percepito in maniera esplosiva. L’iperpatia differisce dall’iperalgesia perché nell’una la soglia di percezione del dolore è aumentata mentre nell’altra è ridotta. Per avere l’iperpatia è necessario che lo stimolo sia intenso e/o ripetuto in modo da realizzare una sommazione spaziale o temporale di stimoli. L’iperpatia è un fenomeno legato al residuo input proveniente da una zona resa ipoalgesica dalla deafferentazione ed è tipica delle aree non completamente denervate e delle zone di transizione fra la cute anestesica e quella normale. Tasker [1984] osserva che l’iperpatia si accompagna solo ai casi di dolore da deafferentazione caratterizzati da lesioni parziali e che scompare dopo la completa denervazione.
Efapsi
Con il danno nervoso, la perdita dell'individualità delle fibre assicurata dalle guaine consente la formazione di “cortocircuiti” o “efapsi” [Granit e Skoglund 1945, Seltzer e Devor 1979] che determinerebbero il trasferimento dell'efferenza simpatica all'afferente C, producendo il dolore.
Nervi nervorum
Poco si sa sui nervi nervorum: queste strutture potrebbero essere nervi solo vasomotori o anche sensitivi. Studi recenti sembrano confermare l’ipotesi che almeno un sottotipo di nervi nervorum, distinto da quelli che innervano i vasi dell’interstizio neurale, abbia funzioni nocicettive [Zochodne 1993, Bove et al.1995, Sauer et al.1999]. Per quanto concerne l’anatomia dei nervi nervorum [Hiromada 1963], questi potrebbero essere collaterali delle fibre afferenti che hanno il loro campo recettoriale periferico nei tessuti. Tali rami collaterali potrebbero terminare nel tessuto interstiziale del nervo e nella sua guaina in zone limitrofe a quelle dalle quali essi si staccano dalla fibra principale e provvedere all’innervazione sensitiva di queste strutture. Una siffatta organizzazione anatomica giustifica la distinzione del nerve trunk pain come dolore primario e come dolore secondario riferito.
Nocicezione
E’ lo stimolo che eccita i recettori collegati con le fibre A-delta e C. Non va confusa con il dolore.
Nocicettori
Sono i recettori sensibili allo stimolo nocicettivo o, estendendo il concetto, le fibre afferenti primarie che conducono la nocicezione.
Il nervo radicolare o nervo spinale è la struttura che deriva dall’unione nel forame di coniugazione delle radici dorsale e ventrale dei nervi spinali. Esso ha le caratteristiche di un nervo periferico in quanto le afferenze, sia nocicettive che d’altro tipo, sono qui frammiste alle efferenze motorie e simpatiche.
Radice
La radice spinale o semplicemente radice è il complesso morfofunzionale “radice (dorsale-ventrale)-nervo radicolare” inteso come l’insieme delle fibre che si distribuiscono allo stesso metamero.
Stimolo algogeno
E’ lo stimolo che normalmente provoca il dolore.
Stimolo nocicettivo
E’ lo stimolo in grado di danneggiare il tessuto sul quale è applicato.
Contrazione muscolare
La contrazione muscolare è il risultato della normale attività del muscolo e consiste nell’accorciamento complessi del muscolo avviato dall’arrivo di un potenziale transmembrana di azione (PTA) che, liberando il calcio dal reticolo sarcoplasmatico (o sarcotubulare), determina lo scorrimento reciproco dei filamenti miosinici fra quelli actinici.
Vediamo ora più in dettaglio come si realizza il collegamento fra il fenomeno elettrico del PTA e quello meccanico della contrazione, cioè con quale meccanismo l’eccitazione di un muscolo da parte dei nervi motorii conduce alla contrazione (Figura). Il sarcomero è l’unità contrattile della cellula muscolare (fibrilla). Ogni fibrilla è costituita da una serie di sarcomeri disposti longitudinalmente l’uno di seguito all’altro. Quando un impulso che percorre una fibra nervosa motoria giunge alla placca motrice determina la depolarizzazione e quindi un PTA che si propaga lungo la membrana cellulare e giunge al reticolo sarcoplasmatico (o sarcotobulare) determinando la liberazione degli ioni calcio in esso immagazzinati. Gli ioni calcio (positivi) vengono ad interporsi fra i filamenti di actina (negativi) e determinano fra essi un legame elettromagnetico che ne provoca il reciproco avvicinamento e quindi, con l’energia fornita dall’ATP, l’accorciamento del sarcomero che si traduce macroscopicamente nella contrazione muscolare (Figura). Se, a seguito di un trauma, in una limitata porzione di muscolo vi è un danno del reticolo sarcoplasmatico, si libera il calcio in esso contenuto, indipendentemente dall’arrivo di un PTA, e il sarcomero resta contratto finchè dura l’ATP. In altre parole, l’attività contrattile di quella porzione di muscolo persiste in assenza di PTA e si ha la contrattura.
Spasmo muscolare
Lo spasmo muscolare è un’energica contrazione muscolare che non può essere interrotta volontariamente ed è prodotta dall’eccitazione riflessa dei motoneuroni a seguito di un aumentato input nocicettivo dopo una lesione del muscolo, una frattura ossea, una patologia viscerale, eccetera. Lo spasmo muscolare può presentarsi come un meccanismo protettivo per immobilizzare la struttura danneggiata (muscle splinting pain) ma se persiste diventa molto doloroso perché il muscolo riceve l’apporto ematico arterioso e da esso sono rimosse le scorie cataboliche tramite il circolo venoso solo durante le fasi di rilasciamento. Quindi, solo con la ritmica successione di contrazioni e rilasciamenti il muscolo lavora in condizioni fisiologiche ottimali. Se, invece, esso resta contratto troppo a lungo senza i necessari periodi di rilasciamento, il flusso arterioso e quello venoso sono compromessi per cui il muscolo diventa ipossico, edematoso e sede di accumulo di lattati. In queste condizioni il muscolo è affaticato e dolente perché i lattati attivano i nocicettori. Inoltre, si ha l’invio al midollo spinale di impulsi nocicettivi che evocano ulteriori riflessi motorii (con coinvolgimento di altri gruppi muscolari che possono andare in spasmo) e simpatici (con ulteriore vasocostrizione muscolare).
Lo sconvolgimento del metabolismo muscolare è tanto più importante se la protratta contrazione del muscolo si verifica in condizioni isometriche cioè senza accorciamento del muscolo: in queste condizioni vi è un più marcato aumento della tensione endomuscolare. Viceversa, se lo spasmo muscolare avviene in condizioni isotoniche (con accorciamento) il metabolismo muscolare è meno compromesso.
Contrattura muscolare
La contrattura si distingue dalla contrazione e dallo spasmo perché mentre questi sono prodotti dall’attivazione dell’unità motoria indotta dall’arrivo di un PTA ed interessano la maggior parte del muscolo, nella contrattura non c’è l’attivazione dell’unità motoria e sono coinvolte solo poche fibre in una porzione longitudinalmente limitata del muscolo che rimane, per il resto, rilasciato. Nella contrattura, quindi, si ha il silenzio elettrico con negatività dell’EMG: al contrario, nello spasmo muscolare aumenta l’attività EMG a riposo. La contrattura si verifica a seguito di un trauma in una limitata porzione di muscolo dove viene danneggiato il reticolo sarcoplasmatico e liberato il calcio in esso contenuto indipendentemente dall’arrivo del PTA. In altre parole, la contrattura è l’attività contrattile di una porzione di muscolo che persiste in assenza di PTA.
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Re: Conoscenza della terminologia algologica • VULVODINIA.INFO
Lun 13 Dic 2010, 07:23
Da scaricare e visionare per bene i segg documenti:
http://www.labdn.it/Laboratorio_Dolore_Neuropatico/Eventi/Voci/2006/5/29_Uso_della_tossina_botulinica_nel_trattamento_del_dolore_files/Bonezzi.pdf
http://www.paoloevangelista.it/Convegno_291005/Il%20Dolore%20Neuropatico%20Paolo.pdf
http://www.labdn.it/Laboratorio_Dolore_Neuropatico/Eventi/Voci/2006/5/29_Uso_della_tossina_botulinica_nel_trattamento_del_dolore_files/Bonezzi.pdf
http://www.paoloevangelista.it/Convegno_291005/Il%20Dolore%20Neuropatico%20Paolo.pdf
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